Ludovisi intervista Renato Masini, l’interbase di quel gruppo bolognese che fece l’impresa a Milano. “Eravamo tutti reduci di guerra, abituati ad essere dei combattenti. E quello spirito ci aiutò a vincere”

1 11 2008

di FRANCO LUDOVISI

Il primo di novembre del 1948 la Libertas Bologna conquistava il primo scudetto in assoluto del baseball Italiano: esattamente sessanta anni fa.
Sto parlando di quell’avvenimento con Renato Masini allora giocatore importante del nove bolognese, nonchè segretario della Libertas, procuratore del materiale e delle divise da gioco, “anima” insomma di quella fantastica squadra.
C’è qualcosa che ancora non hai detto di quella memorabile gara?
“Sì – risponde –  giocammo tutti male. Eravamo contratti, sentivamo l’importanza della sfida, giocammo tutti sotto il nostro standard: tutti, nessuno escluso”
E allora come avete fatto a vincere?, incalzo
“Loro, i milanesi, credevano di fare di noi un sol boccone – continua Renato – erano sicuri di vincere: giocavano in casa all’Arena di Milano di fronte ad un folto pubblico a loro amico ed a noi ostile. Eppoi, diciamola tutta, erano anche un po’ altezzosi con noi che venivamo considerati dei provinciali: ma non sapevano che noi ”provinciali” eravamo soprattutto dei “combattenti” e questo ci portò a vincere”.

Quando Masini parla di combattenti il termine non è usato per indicare grinta e determinazione.
Gli uomini che componevano quella lontana squadra erano quasi tutti reduci da una guerra combattuta realmente: venivano dal fronte e dai campi di prigionia perché avevano combattuto e perso. Ci avevano creduto in quel conflitto tanto che gente come Bianco, il lanciatore, dopo aver militato in tutti i fronti era partito volontario per la Russia addirittura come paracadutista nell’esercito tedesco; Masini era nei parà italiani, Nardi nella Decima Mas. Gaibari, Regazzi, Tavoni, Pellizzari tutti combattenti dell’esercito di Salò, mentre Strong e Franceschini combattevano dall’altra parte!

“Come tutti i reduci che avevano continuato a combattere fino alla fine – prosegue Masini – non venivamo accettati bene dalla gente di quei tempi ed allora ci ritrovavamo in punti di aggregazione  per non essere isolati e per stare fra di noi con le nostre idee: così quando un oriundo di allora, Tom Diana, viene al bar Mercanzia il  punto di ritrovo del nostro gruppo di reduci e ci parla di baseball e se vogliamo provarlo, il mattino dopo ci ritroviamo tutti assieme ai Giardini Margherita a giocare il nuovo sport”.
Quindi, il senso del primo baseball per te è questo?
“In parte anche questo, cioè uscire da un isolamento e riproporsi agli altri con nuove qualità.
Poi eravamo giovani, desiderosi di vivere diversamente dalla guerra e ci innamorammo subito di questo nuovo gioco”
“Come mai allora sei uscito così presto e definitivamente dal baseball?
“Perché a me serviva tanto allenamento per restare in forma, mentre le necessità del lavoro mi impedivano di allenarmi come avrei voluto; ho provato ad essere un semplice spettatore, ma stavo male, malissimo a non essere là in mezzo a muovere mazza e guantone. Poi l’antica passione del paracadutismo mi ha ripreso concludendo la mia esperienza nel baseball”.

Vorrei continuare nella chiacchierata, ma intuisco che per Renato non è più un argomento piacevole.
Per lui, a differenza mia, il baseball non è potuto essere la ragione della sua vita.


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