Baseball, ecco la strada da percorrere

7 02 2008

di MAURIZIO ROVERI

Voltarsi indietro a volte serve, per cercare di costruire un futuro migliore. La FIBS di oggi – e lo dico con affetto – dovrebbe avere l’umiltà di riconoscere il successo di quella felicissima iniziativa che fu il Club Italia negli Anni Ottanta. E dovrebbe cercare di ripercorrere quella strada, se ci sono ancora le condizioni per farlo. Era la strada giusta per valorizzare la “scuola” del baseball italiano. La indicò Bruno Beneck, in uno dei suoi progetti meglio riusciti. E’ stato un presidente carismatico, Beneck. Personaggio geniale, ingombrante, scomodo, passionale, intraprendente, vulcanico. Ha commesso degli errori, ma ha anche fatto cose importanti. Sicuramente è il dirigente che ha saputo “vendere” meglio il prodotto-baseball, con le sue idee, la sua visione, i suoi contatti con gli sponsor. Da regista televisivo e da uomo di spettacolo qual era.
Il Club Italia, creatura di Beneck, ha sviluppato il più forte gruppo di giocatori italiani di tutti i tempi. In un precedente articolo ho ricordato la performance di quella Nazionale “solo italiana” che nel 1986 andò a conquistare un brillante quinto posto ai campionato mondiali di Haarlem, in Olanda. Sconfiggendo addirittura gli olandesi in casa loro e perfino la squadra degli Stati Uniti (Claudio Donninelli il lanciatore vincente di quell’impresa). Era la nazionale azzurra di campioni come Roberto Bianchi (878 di media-slugger in quel Mondiale), Beppe Carelli (478 di media battuta), Ceccaroli, Gambuti, Fochi, Radaelli, Mazzieri, Taglienti, Trinci e tanti altri.
Di quel gruppo vanno anche ricordati il trionfo ai campionati Europei parigini del 1989 (con Ceccaroli, Gambuti, Mazzieri, Catanzani, Ubani in particolare evidenza) e i due secondi posti agli Europei del 1985 e del 1987. Tutta orgogliosamente “nostra” anche la squadra vincitrice sul diamante di Nettuno, negli Europei del 1991 (Bianchi 519 di media battuta).
Riempie di tristezza il raffrontare quegli squadroni totalmente di scuola italiana con la nazionale gonfia di oriundi ma senz’anima che nel settembre 2007 è riuscita nella performance di realizzare il peggior risultato di sempre in un campionato europeo. Umiliata anche dall’Ucraina.
Se si fosse un pochino più onesti, in FIBS non sosterrebbero che “la miglior generazione prodotta dal baseball italiano è cresciuta all’ombra dei giocatori di scuola straniera”.
Sì, può essere stato d’aiuto giocare al fianco di buoni stranieri nelle proprie squadre, non lo nego. Ma il vero motivo va ricercato altrove. La verità è che a determinare quel boom fu il progetto che la Federazione di quei tempi mise in piedi per valorizzare la scuola italiana. Riuscendoci perfettamente.
Quel progetto portava il nome di Club Italia. Ne facevano parte i più interessanti giovani prospetti (dai 20 ai 24 anni) del baseball italiano. Venne inaugurato nel 1981 con il primo raduno, lo scopo era quello di preparare un sostanzioso numero di giocatori nella maniera migliore, per anni, fino a selezionare la squadra che avrebbe indossato la casacca azzurra alle Olimpiadi del 1984. Dove il baseball appariva per la prima volta, da sport dimostrativo, nel suggestivo stadio dei Dodgers.
Peccato che poi Bruno Beneck, al momento di raccogliere i frutti di un rigoroso lavoro, prese un’altra strada e – smentendo la linea che era stata seguita – presentò ai Giochi americani una squadra azzurra che portava la scritta ITALIA ma era formata da 11 giocatori oriundi. Dodici con l’allenatore, Jim Mansilla. Quella formazione non fece per nulla una figura brillante. E a salvare l’onore furono gli italiani, quelli “veri”: Massimo “Supermax” Fochi, Roberto Bianchi, Ruggero Bagialemani, poi Mari e Manzini.
Travolto da uno scandalo per un “buco” sostanzioso nel bilancio (ma pare che altre Federazioni fossero ben più indebitate…), e “tradito” da una parte del Consiglio Federale, Beneck dovette dimettersi dalla presidenza dopo quelle Olimpiadi.
Restavano le belle cose prodotte dal lavoro del progetto Club Italia.
E Aldo Notari, eletto presidente in sostituzione di Beneck, prese una decisione clamorosa e storica. Come riporta il libro “Un diamante azzurro” Notari decise che i cosiddetti italiani residenti all’estero sarebbero stati equiparati agli stranieri. E così gli oriundi sparirono dal baseball italiano. Per un bel po’ di tempo.
Come lavoravano, i giocatori del Club Italia? Che cos’avevano di speciale? Praticamente erano dei professionisti. Cioè, giocatori italiani di talento che la Federazione aveva messo nella condizione di praticare baseball a tempo pieno. Stipendiati o, comunque, ben ricompensati per la loro disponibilità. Raduni e viaggi. In giro per il mondo, nei mesi invernali. Soprattutto Cuba. Tanta Cuba. Partivano in autunno, rimanendo fin verso Natale. Poi, seconda parte della preparazione: si andava a Cuba verso metà gennaio fino a marzo. Si allenavano in maniera professionale, gli azzurri. Giocavano spesso. Si abituavano a confrontarsi con i mitici campioni cubani, i più forti giocatori del mondo. Inevitabile migliorare.
Praticamente, avevamo un gruppo di professionisti. O quasi. Quel gruppo di ragazzi del Club Italia visse, per qualche anno, un’esperienza straordinaria, suggestiva, bellissima. Fondamentale per la loro crescita.
I successi di quella Nazionale tutta indigena dimostrano che la “scuola” del baseball italiano ha grandi potenzialità. Però occorre – da parte della Federazione e da parte delle Società – la volontà di lavorare nella maniera giusta per sviluppare queste potenzialità.
Adesso si spendono dei soldi per mantenere i finti italiani. Non va bene. E in maglia azzurra ci sono ancora undici-dodici oriundi, in un roster di ventidue giocatori. Non va bene.
Ci sono stadi da rinnovare, da risistemare, da ripulire in serie A. E non va bene. La comunicazione è insufficiente. E non va bene. Lo spazio in Tv è ancora poco. E togliere al campionato di massima serie delle settimane di settembre (il “mese ideale” per il baseball) è un grave errore.

Ed è un baseball che – a mio parere – dovrebbe e necessariamente dovrà fare di più per la crescita dei vivai, aspetto fondamentale e condizione indispensabile per lo sviluppo di uno sport.
Sì, l’attuale gestione federale ha realizzato l’Accademia del baseball di Tirrenia, una sorta di college americano dove si studia e si impara il baseball. Funziona, ma i migliori giovani talenti usciti da lì hanno già preso la strada dell’America (e il nostro campionato li perde). Allora, mi sorge un sospetto. E viene spontaneo un interrogativo: l’Accademia lavora davvero per il baseball italiano, o serve di più alla Major League?


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11 responses

7 02 2008
Giorgio Pavarani

Un lungo articolo, che però finisce male…
Mi spiego meglio.
Ho letto con interesse tutto l’articolo, che cerca di spiegare il motivo del successo di una generazione di giocatori rispetto a quello mancato delle successive. Questo è importante. Cercare di capirne i motivi, e individuare gli errori commessi è fondamentale per ripetere i successi passati.

Sono però rimasto basito dall’ultima frase.

Non si può criticare l’unica (o una delle poche) cosa positiva di questi anni: i ragazzi che emigrano in america.
Il miglior baseball attualmente non è a Cuba, ma negli USA. Se i nostri ragazzi vogliono tirare fuori il meglio da loro stessi, devono poter usufruire degli insegnanti migliori e della scuola migliore. Senza vergogna si può candidamente ammettere che non sia quella italiana (in questo paragone la FIBS ci può fare poco: sono due pianeti diversi l’Italia e gli USA in questo sport).
Ritengo quindi fondamentale, per un ragazzo con del talento, la possibilità di confrontarsi con la realtà migliore possibile.

Se il compito della federazione fosse il preservare il campionato, allora saremmo rovinati (è la politica dell’orticello che sta distruggendo questo sport).
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Piccolo inciso: in un altro articolo si magnifica, giustamente, il lavoro svolto dalla FIR, che diversi anni fa non aveva certo le disponibilità economiche, il risalto e i risultati attuali. Loro non si sono certo preoccupati se i migliori giocatori andavano all’estero, anzi. E’ stato proprio il fatto che i migliori sono andati a giocare in Francia e Inghilterra a farli migliorare e a farli diventare come sono oggi.
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Io ritengo sia quello di migliorare il movimento, che vuol dire anche creare le condizioni migliori per far esprimire tutto il talento ai giocatori.
Questo non vuol dire che l’Accademia FIBS sia perfetta, anzi…
Come non credo che chi ha firmato contratti per gli USA l’abbia fatto per merito dell’accademia: alcuni non ci sono proprio passati, altri ci son stati per un mese (sarebbe meglio di Lourdes), altri ancora in Italia erano considerati brocchi e là negli USA li mettono nei migliori 30 prospect di una franchigia.
I problemi sono altri.

Ritengo che l’attuale Accademia possa essere un qualcosa di simile al Club Italia. Magari con qualche risorsa in più per il teaching staff. Magari facendo parteciapre la squadra dell’accademia alla A2. Magari facendola partecipare a tornei con nazionali di altri paesi (sostituendo la nazionale PO di qualche anno fa). Magari con quealche altro aggiustamento.

Il fatto è che così non funziona. Lo dicono i numeri dei giocatori che la frequentano e hanno statistiche imbarazzanti in campionato.
Quindi o non funziona a dovere l’accademia, che non riesce ad insegnare abbastanza a questi ragazzi, o i ragazzi che frequentano non sono quelli giusti, e quindi c’è da rivedere il reclutamento.

Non credo ad una “carenza genetica”, e credo che la presenza di Liddi e Maestri nelle minors per così tanto tempo e in continuo avanzamento lo dimostri.

Il fatto che siano in america non ha certo danneggiato il movimento italiano, visto che poi giocano in nazionale.
Inoltre possono essere un esempio e uno stimolo anche per il “reclutamento”.

7 02 2008
Riccardo Schiroli

A differenza della gestione Beneck, l’attuale Consiglio Federale ha non solo creato un progetto parallelo all’allora P.O. (che è il gruppo Under 21), ma anche il progetto “Verde Azzurro” (e “Verde Rosa” per il softball) e sta gestendo il programma della nazionale “juniores” in parallelo con l’Accademia. Inoltre (si è iniziato col softball) ha varato programmi di istruzione tecnica rivolti a tutti gli atleti e i tecnici.
Gli attuali progetti federali sono “di formazione dei giocatori” e assecondano l’ambizione degli atleti. Chi ne ha la capacità, e la volontà, può e deve seguire la sua vocazione e cogliere occasioni importanti per il futuro.
Io personalmente sono quasi commosso all’idea che abbiamo finalmente lanciatori italiani negli USA. Maestri potrebbe giocare in Doppio A quest’anno. Sarebbe il primo giocatore della nostra scuola a riuscirci. D’Angelo è il primo atleta di scuola italiana a giocare in un College di ‘Prima Divisione’ NCAA. Se l’Accademia, dal 2003 ad oggi, ha prodotto 4 giocatori che sono volati oltre oceano, ad altri 20 o 25 ha dato gli strumenti per diventare giocatori di livello nel baseball italiano. Il che, non mi sembra poco.

7 02 2008
Davide

Maestri, Liddi & C. in America non sarebbero un bene per il baseball italiano ?
Io credo che Bargnani e Belinelli diano qualcosa al basket italiano anche se giocano in America.

7 02 2008
D G Grosseto

Su tutti i forum ci si lamenta del fatto che il campionato di A1 possa finire ad agosto e qui secondo me sta l’errore: lasciamo
perdere il campionato di vertice, 12 partite più o meno non sono fondamentali per creare giocatori italiani di primo piano. Facciamo ,se possibile, dei campionati giovanili articolati da aprile ad ottobre. Nessuno evidenzia il fatto che i campionati cadetti, juniores, la B, la C giocano fino alla metà di giugno con le poche squadre che accedono alle finali a settembre con giocatori fuori forma e decimate dalla lunga inattività. Qualche torneo/scampagnata non serve a niente.
Ingrossiamo la A2 su tre gironi con l’obbligo di schierare giocatori italiani, con limitatissime provenienze da federazioni staniere e non nei ruoli chiave.
Si insista sul progetto delle franchigie perchè la possibilità (per alcuni solo teorica, per altri concreta) di finire anche per una sola partita in una squadra di A1 fa sì che tutti i ragazzi siano motivatissimi. Inseguendo un sogno.
Sistemate le basi insistiamo con costanza e pazienza ed i risultati devono arrivare sicuramente.

8 02 2008
Marco Borri

Beh, dopo tanti consigli, ricette magiche e autocelebrazioni vedo che alla fine è arrivato qualcuno che ci rammenta qual è il problema n° 1 del baseball italiano: NON SI GIOCA ABBASTANZA. E sì che basterebbe ascoltare qualsiasi coach americano, giapponese o cubano per sapere che la partita – e la partita soltanto – possono formare giocatori veri e migliori. Noi invece siamo ancora al concetto dell’allenamento, persino dell’Accademia (dove appunto ci si allena tanto). Questo non è il calcio, dove 50 partite l’anno sono già troppe per un atleta, questo è il baseball, dove 100 partite sono la norma. Pertanto è inutile girare attorno al discorso, sperticandosi per comprare la frusta, le redini, il carretto e quant’altro secondario: prima occorre avere il cavallo.

8 02 2008
Massimo Casorati

Ma se sono tutti d’accordo (a parte Schiroli e Fraccari), che si giochi troppo poco a tutti i livelli, non solo in A1, come mai si continua a giocare poco ed i segnali sono che si giocherà anche meno (A2 a 16 squadre…)?
Non è che Schiroli e Fraccari non siano proprio i soli a pensare che finire di giocare in Agosto (per chi va avanti nei campionati) sia l’ideale?
Quali sono i motivi che portano la federazione a creare campionati che arrivano a malapena a coprire un terzo dell’anno solare?
Perché alla domanda di giocare di più, Castagnini risponde sì con la Little League Nazionale, ma infittendo i calendari e comunque limitando l’attività ai mesi prima di Luglio?
Non è possibile che, in vista delle elezioni del CF, qualcuno si presenti con un programma che prevede seriamente una espansione dei campionati (tutti) sia come numero di gare, sia come periodo in cui si giocherà?

8 02 2008
D G Grosseto

Egr.Sig.Roveri vorrei conoscere il motivo per cui il mio intervento non è stato
pubblicato per intero. Non mi sembra di aver usato parole offensive, l’argomento
era pertinente perchè si riferiva al periodo da Lei menzionato,le decisioni prese
da quel consiglio federale erano il lato negativo della medaglia da Lei messa in
mostra. Quella nazionale e soprattutto quel sistema di “reclutamento” e di
istruzione ed esperienze accellerate erano finalizzate ad un evento (le prime olimpiadi del baseball) e non potevano costituire regola e come si è visto non vi è stato un ricambio adeguato.
Bisogna, quindi, intervenire nelle fondamenta. Deve diventare prassi normale che le società di baseball, piccole o grandi che siano, abbiano il loro settore giovanile efficente e curato.

9 02 2008
Leonardo Schianchi

Caro Roveri
seguo con molto interesse il suo sito e spero contribuisca a smuovere il paludoso mondo della pallabase nostrana.
Le volevo nel contempo sottolineare che anche il sottoscritto ha fatto parte del famoso Club Italia voluto dal Presidente Beneck. E che oltre ad essere stato, assieme a Bagialemani il giocatore con il maggior numero di presenze in quella virtuosa nazionale giovanile e indigena al cento per cento, ho contribuito da titolare allla vittoria degli Europei del 1991. Vittoria che valse la qualificazione Olimpica al primo torneo ufficiale della storia del nostro sport. Preciso inoltre che in quel torneo svoltosi a Nettuno, Roma e Montefiascone con una straordinaria partecipazione di pubblico entusiasta, era in palio una solo posto per il torneo olimpico a differenza degli anni successivi ( Atlanta 1996 e Sidney 2000) dove, grazie alle grandi doti diplomatiche del Presidente Notari, i posti in palio per l’Europa erano due.
A Nettuno nel ’91 vincemmo cinque partite su cinque contro gli olandesi, con una Nazionale composta esclusivamente da atleti italiani la maggior parte dei quali cresciuti nel Club Italia. Fu quello, a mio avviso, uno dei momenti più alti di tutta la scuola baseballistica italiana.
Attentamente la saluto e le porgo le mie piu’ sentite felicitazioni per l’ottimo lavoro che sta svolgento con il suo sito.
Leonardo Schianchi

9 02 2008
Maurizio Roveri

Grazie, Leo, per le belle parole, per le giuste osservazioni, per l’entusiasmo dell’intervento. E per le precisazioni. Diamoci del tu, Schianchi. Ci siamo conosciuti in quegli anni e ho avuto il piacere di scrivere anche di te: sia perchè sei stato un giocatore importante della Nazionale italiana, sia perchè ho seguito (da inviato del Corriere dello Sport-Stadio) i Mondiali canadesi di Edmonton nel 1990 e i trionfali Europei del 1991. Tu hai fatto parte di quella squadra azzurra ed eri presente anche nella Nazionale che nel 1992 partecipò ai Giochi Olimpici di Barcellona.
Continua a leggerci e l’invito è rivolto a tutti i giocatori italiani che hanno contribuito a dare un’identità e una credibilità alla Nazionale italiana. Dimostrando che una squadra azzurra tutta di “scuola” italiana può essere dignitosissima. Senza necessariamente fare facile ricorso agli oriundi o agli “italianizzati”. Il messaggio, oltre a Leo Schianchi, lo rivolgo a personaggi come Paolo Ceccaroli, Elio Gambuti, Roberto Bianchi, Beppe Carelli, Fulvio Valle (campioni che non vanno dimenticati) e altri di quel periodo. Mi piacerebbe avere dei vostri interventi, dare spazio alle vostre idee e a quelle che sono le vostre proposte per migliorare e ampliare il movimento del baseball in Italia. Mim rivolgo anche agli allenatori. E dunque anche a Marco Mazzieri, commissario tecnico della Nazionale. E a Ruggero Bagialemani, “er pantera”, del cui passato da giocatore s’è parlato molto nei giorni scorsi su Double Play a proposito del suo ruolo. Insisto nel ritenere Bagialemani il più bravo interbase di scuola italiana di tutti i tempi. Il Communication Manager della FIBS, Riccardo Schiroli, sostiene viceversa che il nettunese sia passato alla storia per le sue prestazioni da terza base. Premesso che Bagialemani passa alla storia per essere stato un CAMPIONE, dico che ciascuno è libero di avere la propria opinione. Tuttavia è sufficiente aver conosciuto la storia e la carriera di Ruggero, e averlo visto giocare, per rendersi conto che fin da ragazzino è stato un grande interbase. Ed è in quel ruolo che ha confezionato la parte migliore della sua carriera. Poi, ha chiuso in terza (dove ha giocato molto bene pure lì). Questa è la verità. E Ruggero, che conosco bene, concorda con me.

10 02 2008
mariagrazia

Allenarsi è importantissimo, giocare lo è di più! In tutti gli sport e tanto più nel nostro.
Le statistiche, anche per il softball, non sono state a favore dell’accademia, per ora.
E’ onorevole che dei nostri ragazzi possano giocare in America, ma quanto sarebbe bello vederli sui nostri diamanti al posto di stranieri e oriundi.

11 02 2008
Massimo Casorati

Io sono dell’opinione che chiunque debba giocare al massimo livello consentitogli dal suo talento e da come questo viene poi coltivato. Se un ragazzo italiano ha il potenziale per arrivare addirittura a giocare negli USA, perché limitarlo? Già viene limitato dalle scarse possibilità di crescere in un ambiente dove il farming, la formazione, la crescita sono tenuti in bassissima considerazione, dove è sicuramente più facile che le risorse vengano allocate nell’ingaggio di giocatori “già fatti”, piuttosto che nel “farli”, perché allora cercare di tenerli qui, quando possono avere di più?
Sarebbe bello che rimanessero qui, perché è in Italia che trovano il modo per soddisfare l’eventuale desiderio di giocare al massimo livello loro possibile; è assodato che non ci sono limiti genetici al potenziale di eventuali giocatori nativi italici, qualche esempio lo dimostra, ma questo si otterrebbe solo con una limitazione vera, senza se e senza ma, alla presenza di giocatori stranieri (siano essi oriundi, o meno), almeno nelle serie inferiori. Questo sarebbe l’unico modo di creare il circolo virtuoso “niente import-risorse nel farming-sviluppo dei giocatori di casa-aumento dei giocatori disponibili-annullamento del bisogno ulteriore di import” che creerebbe le basi per la maggiore penetrazione del gioco del baseball in Italia.

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